27.1.12

Long Playing: Grab That Gun

Il sound ricorda quello tipico della new-wave anni 80' tra Joy Division, Cure, Television....
Non ho idea di quante volte mi sia imbattuto in quest'ultimi anni in una frase del genere: Tra recensioni più o meno sgonfie d'entusiasmo, il parere a quattr'occhi di persone che con il passare degli anni te lo comunicano, anche loro, in modo progressivamente assente, con la conclusione che pure la tua mente raggiunge la più cieca e intrattabile delle sensazioni, una sottrazione totale di ogni buona volontà.

Parlare di revival wave mi obbliga a dover star lì ad elencare la maggioranza delle nuove proposte musicali perlopiù inespresse nate nella metà dello scorso decennio. Esse rientravano senza pietà in questo pentolone che tutt'oggi ribolle inesorabile, con evoluzioni ben più ampie; vedi le rielaborazioni di nostalgia eighties e citazioni elettro-pop a non finire, senza contare lo sdoganamento della pop culture in musica e della sua immagine post-moderna (la cui nascita e iniziata proprio trent'anni fa) proprio negli ambienti che appunto in antichità (si, sembra sia passato un secolo) si definivano indie, scena che una volta si opponeva con una intollerabilità palpabile in musica agli scenari pop commerciali; ora basta dare un'occhiata a quanta attesa c'è per il primo disco di Lana Del Rey, passata esteticamente dal corteggiamento nerd di Videogames, al codice Gaga-glamour ribelle (e alla firma per la Interscope) di Born to Die, e tanti omaggi e saluti a Manuel Agnelli.

Le ramificazioni ci sono e ci saranno in futuro, ma niente sembra cambiare il concetto di revival, niente ha scombinato realmente il panorama offrendo uno spazio sonoro su cui iniziare un percorso che si scuota dalle varie derivazioni del caso, tant'è che tra i primi gruppi di punta di questa corrente, vedi Strokes e Franz Ferdinand, palesano già evidenti limiti di vitalità e ispirazione.
Evitando altre pericolose analisi superficiali, riesco solo a ricongiungere tutto al concetto di urgenza, ovvero puoi suonare e ispirarti a qualsiasi genere del passato, sperimentare nuove fusioni e ricette sonore tra le più varie e disomogenee, ma se non si avverte una necessità artistica che induca inesorabilmente a queste insondabili sonorità, perchè intestardirsi? Resta dove sei, la storia è lì a disposizione.

La cantante Katie Sketch fonda le canadesi The Organ nel 2001, in seguito al suo tentativo di fondare un gruppo che rievocasse il suono e la sostanza dei suoi dischi preferiti, scoperti grazie a un amico produttore e tecnico del suono. Siouxsie and the Banshee, Ultravox, Roxy Music, e in generale ciò che risultava alternativo ai fasti dei miglior Bon Jovi.
Nel 2001 ottengono un contratto con la Mint Records e in quel lasso di tempo ottennero la possibilità di pubblicare il loro primo cd e magari anticipare il revival-wave di un paio d'anni in barba agli Strokes e Interpol, ma la Sketch si oppone al lavoro svolto con il primo produttore, lo cambia, e ci mette due anni per ottenere il suono desiderato.

Grab That Gun ad oggi non sembra aver avuto tanta premura: è un esordio candidamente di stampo new-wave, dannatamente monocorde e che evita di arrampicarsi in dettagli lontani da questa sua natura. Uscisse domani sarebbe liquidato da una esasperazione palpabile dagli addetti ai lavori, confermando l'errore a ragionare in termini pressochè inutili di questi tempi; perchè negli anni 80' questo disco avrebbe trovato la gloria che gli spetta, non tanto per la fedeltà a quelle sonorità ma per la possibilità che quel periodo avrebbe dato alle capacità innate di questa band.
I riflessi melodici che penetrano in tutte le canzoni del disco sono di una efficacia disarmante, di una semplicità esemplare e induce a una morbosità d'ascolto ripetuto; contraltare splendido per la voce di Katie Sketch che come una gazza ladra si appropria del nucleo vitale della band virandolo ad essere la sagoma della sua disillusione cieca, oppressiva e dispersiva come una metropoli senz'anima. Un canto lontano dagli epigoni (più o meno onesti) di Ian Curtis che hanno proliferato in quest'ultimi anni; lei magari ci prova a rinverdire i fasti di un Morrissey ma risulta sempre una cosa diversa, ritrovandosi in gola un oscuro e fragile orgoglio che la rende la migliore interprete di tutto il revival degli anni zero.
Dopo la ristampa europea del disco nel 2006 e vari cambi di line-up, inizia anche un tour che sottolinea l'incapacità delle ragazze a convivere insieme per un periodo così lungo, le controversie verso l'industria discografica fanno il resto e la band si scioglie nel Dicembre dello stesso anno.
Hanno però ancora la forza di chiudere questa parentesi folgorante con un Ep del 2008 chiamato Thieves che non fa che accumulare il rimpianto dei Fans, tra l'ardore intrinseco di What a Feeling, il baratro melodico di Let the Bells Ring e il commiato affettuoso di Don't Be Angry.

Probabilmente anche loro sarebbero finite in un limbo d'indecisione, ma il loro proseguire si sarebbe rivelata una scelta contraddittoria alla passione emessa nei loro lavori, l'ardore wave che in Canada non ha smesso con la loro dipartita, ma se gli Arcade Fire trovavo una luce in Tunnels, le The Organ, con lo stesso piglio inafferrabile, sembrano sprofondare nell'abbraccio letale di Brother.

25.1.12

Bioware continua a ridicolizzarsi


Non bastava quel fiasco di Dragon Age II, non bastavano i fottuti Bioware Points per acquistare i loro DLC (Contenuti aggiuntivi) a pagamento, non bastava la mancanza di edizioni complete per evitare che i giocatori acquistassero i loro giochi ed i loro DLC a buon prezzo, non bastava una gestione orwelliana del loro primo MMO, Star Wars The Old Republic, non bastava il taglia e cuci visto su Dragon Age II per ricavare DLC da ogni parte, ora si va ancora peggio.

24.1.12

Deus Ex: Human Revolution


E' sempre difficile affacciarsi ad un videogioco come Deus Ex: Human Revolution, avendo ancora in mente il suo più illustre predecessore. Si rischia di non apprezzare una formula troppo sconvolta o troppo legata al lavoro precedente (cioè vecchia). Da parte mia, il primo passo verso questa serie è stato quello di completare il primo videogioco per avere un mio punto di vista, non basandomi solo su impressioni di videogiocatori più navigati, proseguendo saltando a piè pari Invisible Wars insieme a tutti i suoi difetti e planare dolcemente su questo terzo capitolo. Volevo, quindi, sentire sulla pelle cosa era cambiato in questi 11 anni tra struttura di gioco, idee di design ed altro.

17.1.12

2011: Metals

Malcelata luce che sbuca dalle nuvole e filtra in sinuosi raggi tra le tende di una finestra per poi vagare fermamente, in un lato della stanza, a marchiare la figura di una donna intenta a raccogliere frammenti, briciole, foglie d'autunno, impronte, polvere, ricordi e ciò che in modo univoco può ormai definire dolore.

Metals fa sì che risplendano, in un gioco di chiaroscuri, quelle poche canzoni del disco più consone al passato della cantautrice, una contrapposizione difficilmente rintracciabile nei dischi precedenti e nei cavalli di battaglia da spot come My Moon My Man, Mushaboom, I've Feel it All, e 1234. Tutto ciò che poteva sembrare morbosamente limpido e accecante prima, ora vive una dimensione credibile, tanto onesta da consegnarli ascolti e ricordi, mentre il passato ora è alla portata, quella giusta.

La finestra si apre gettando una pioggia di colori antichi, pesanti e rigeneranti.



FeistMusic

11.1.12

Come quella volta che mi portarono in Africa

Ascoltare per la prima volta Andy Stott è come essere rapiti da un auto nera e riaprire gli occhi in mezzo al deserto, non connettere tutto ciò che è accaduto nell'intermezzo tra questi due avvenimenti e rimanere tra lo stupito, lo straniamento e la demoralizzazione. Di punto in bianco vieni catapultato in un ambiente ostile, una giungla africana, un posto dove non ti senti accolto bene, dove la sabbia ti entra nei vestiti, il fango ti sporca la faccia e le liane ti ostacolano il cammino. Prendi confidenza con il luogo: flora e fauna cominciano a mostrarsi per quelle che sono e non per ciò che ti eri immaginato essere. Non c'è niente di buono o cattivo, è solamente il tuo orecchio che connesso al cervello deve continuare ad identificare costantemente i rumori del luogo. Questo per me è stato soltanto il primo approcio con questo artista che, ad oggi, conta solo di vari EP. E' ancora prematuro consigliare tracce da parte mia, non escludo che io o l'altro compare di blog possa in futuro parlarne più approfonditamente.

9.1.12

Riflessioni a ruota libera su Deus Ex

"Se non ci fosse stato un Dio, lo si sarebbe dovuto inventare" -Voltaire-

L'anno è il 2000, rischi di un collasso economico e sociale globale sono stati sfiorati da poco, il Millenium Bug è oramai un brutto ricordo e nel panorama videoludico viene pubblicato da Eidos, Deus Ex.
L'anno è il 2052, il mondo si prepara per un altro salto tecnologico, abbandonando le protesi meccaniche, il panorama ingegneristico saluta con grande orgoglio l'entrata in gioco delle nano-tecnologie all'interno del corpo umano. Le stesse in grado di trasformare il corpo umano in una meraviglia tecnologica o in una carcassa senza anima.