14.11.11

Quando ti senti trascinato nell'oblio

Una brutta bestia da pelare, Dark Souls, un modo di giocare calcolato, sempre attento ad ogni movimento, passo, suono. Ci lasciamo alle spalle il Borgo, ambiente medievale cristallizato nel tempo, dalle mura solo urla disperate di anime, non morti che riprendono a muoversi e demoni che custodiscono questo angolo sperduto dal mondo. Un drago a guardia dell'entrata ci ricorda molte storie fantastiche lette in passato. Il borgo è quasi una seconda casa, conosco le vie, so come e dove colpire, so chi lo abita e loro sanno chi gli ha sconfitti. Nella zona sono rimasti solo i pesci piccoli, è il momento di entrare nelle Profondità.

2.11.11

Long Playing - A Creature, I Don't Know


Bene, qui non si tratta di elogiare uno dei talenti più enormi e non ancora espressi del tutto del panorama folk inglese e in generale di tutta la musica Uk, bensì ridare fiato alla crescita artistica, avere quella quieta pazienza verso chi non ha ancora raggiunto la piena consapevolezza dei propri mezzi e prova ad arrivarci inanellando dischi come se fossero mattoni, scalini.
Sostanzialmente ascoltare Laura Marling non equivale ad avere tra le orecchie l'ultimo nome di grido iperpromosso da ogni web-zine del globo (quelli che poi dimenticheranno quel nome entro 3-4 anni), ma assistere a questa costruzione di donna adulta con in mano una chitarra, iniziare ad osservarla con sguardo e devozione paterna.

A Creature, I Don't Know è la terza tappa di questa ragazza inglese proveniente dalla marittima e meridionale Hampshire, tappa che riserva una altitudine da grande cantautrice folk, dove conferma il cambio di rotta del precedente I Speak Beacuse I Can ai danni del puro folk-pop del disco d'esordio Alas, I Cannot Swim; tutti titoli molto emblematici, non so quanto volutamente, ma ad ognuno di questi corrisponde una verità.

Una creatura che conosce solo la sua incomprensibilità: bianca e impalpabile in I Was Just a Card, fragile e pallida in Rest in the Bed e Night After Night. Don't Ask me Why, niente risposte che sfociano tutte d'un fiato nell' implosione irrascibile e sporca di The Beast.
Tutto il disco, tranne l'irresistibile dialogo jazzato di The Muse, vive di una sorta di stabile emicrania, di contemplazione per ciò che inadeguatamente ci si ritrova ad essere davanti ai familiari, al proprio compagno e al proprio specchio, una assenza d'identità lontana da quelle donne che si trova a fissare con devozione (Salinas).
Dopo le dolci e innevate solitudini di I Speak Because I Can, la Marling trova il coraggio di mettere a nudo ogni pensiero che la corrode, fino a disfarsene sul calare di Sophia, nome dato a una ipotetica controfigura femminile dai caratteri cristiani ispirata da una novella di Robertson Davies, nome che riecheggia anche in The Beast, tutti e due i brani più ambiziosi del disco.
A spiccare c'è inoltre una particolare cura per gli arrangiamenti, dove banjo, violini, chitarra, e batteria spiccano senza mai scavalcare le intenzioni dei singoli brani.

L'arte della Marling per adesso ha il retrogusto acerbo della sua età (22 anni), funzionale però ad essere il contraltare sonoro delle autunnali giornate di una Rory Gilmore, di una qualsiasi coetanea che si sfida ogni giorno ad essere veramente una donna senza cedere alle moderne e maschiliste trappole che rendono quel ruolo una pura e calcolata artificialità. I dischi della Marling come unità di misura intima ed invisibile per misurare lo spazio degno di ogni personale mattone, per ogni scalino; ed infine arrivare a quel momento fatidico dove l'ormai donna osserverà, sempre insieme a quei dischi, le scelte fatte in questo attuale presente dove domina una fiera e pura incompletezza.
Uno dei tesori nasccosti più luminosi della musica inglese, se casomai non si fosse ancora capito.



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