19.11.10

Ora siamo tutti dei figli di puttana!

Braid è come il vento che ti accarezza i capelli e tutto ad un tratto te li arruffa e te li maltratta da una parte all'altra del capo, è il bambino che ti mette in difficoltà ponendo domande sotto un diverso punto di vista, è l'illusione di poter correggere quello che già è avvenuto, di poter riconquistare quello che abbiamo perso grazie ai nostri errori. Giornalisti lo hanno accostato a Memento ed a Eternal Sunshine of the Spotless Mind (Se mi lasci ti cancello) per l'intreccio che crea nella trama e la difficoltà in cui si trova il giocatore a capire i vari livelli di sottotesto presenti all'interno dell'opera. La mancanza di una comunicazione verbale diretta è l'omaggio del creatore Jonathan Blow a Space Giraffe, indie games rimasto ancora incompreso ai più. Continuando a sputare qualche citazione, si sono viste influenze da Città Invisibili di Italo Calvino, Sogni di Einstein di  Alan Lightman, Il gatto che camminava attraverso i muri di Robert Heinlein e Mulholland Drive di David Lynch.
Braid è un progetto nato indie, diventato mainstream a suo modo. Penso che sia stato il primo gioco indipendente in grado di affermarsi come tale tra il grande pubblico. In poco più di qualche ora riesce ad offrire un'esperienza totalmente diversa da quella che il mercato di massa ci abitua a fare. La logica contro l'abilità, la calma contro frenesia, abbracciare linee di pensiero diverse da ciò che lo schermo ci offre. Braid decompone il proprio genere a piacimento, cita Super Mario non come modello da seguire, ma da sfidare e sopraffarre. Il gioco si compone di 6 mondi che racchiudono una logica di gioco con scalarità. Singolarmente il giocatore inizia dal mondo 2, illogico all'apparenza ma pienamente in tema con la storia di Tim. Questo buffo personaggio in giacca e cravatta è il desiderio di riparare ai propri errori in maniera costruttiva. L'esplorazione dei mondi ci fa capire gli errori commessi nel proprio passato e alla fine nel mondo 1 abbiamo la possibilità di poter rimediare. Purtroppo non è così facile, lasciando il giocatore in una nube di domande e di supposizioni, il gioco dimostra ancora una volta di volersi prendere gioco della logica per trasmette messaggi, esperienze di vita.
 Braid non sarebbe lui senza la propria colonna sonora composta da appena 8 tracce che si intrecciano con la trama, rifiniscono i fondali di gioco e trasportano il giocatore con melodie prettamente strumentali, classiche, rilassanti, appaganti, perfette in ogni loro parte.
Scelte appositamente per funzionare perfettamente con le varie abilità che i mondi ci concedono: il reverse temporale, la capacità di scandire il tempo con i propri passi e l'anello che rallenta il tempo. Il gioco si basa su queste ed altre abilità che contraddistinguono i vari mondi, che li caratterizzano e che influenzano la capacità di catturare i tasselli del proprio puzzle. Tim infatti non potrà avere la sua seconda possibilità se non raccoglierà tutti i tasselli, se non farà pienamente luce sui quadri della propria vita e del proprio essere. La favola di Tim in realtà cela qualcosa di oscuro e misterioso, ce lo mostra subito con la prima schermata di gioco dove viene rappresentata una città in fiamme, ma ce lo riconferma nell'epilogo del gioco dove finalmente riusciamo a far luce sui sottotesti del gioco e dove compare una citazione che sconvolse il nostro mondo come mai era successo: Now we are all sons of bitches.






Music from Braid by Sieber, Kammen, Fulton and Schatz

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