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26.8.13

Jon Hopkins - Immunity


Me lo immagino chiuso nella sua stanza volutamente buia a concentrarsi con la propria vista verso le sottili linee di luce che filtrano dalla finestra sbarrata, e da li pronto a comporre qualcosa al computer, affidandosi al proprio impeto creativo che è sempre più una certezza nel panorama della elettronica più nobile e classica.

Non sembra di ascoltare qualcosa di consapevole, per Jon Hopkins questo approdo in territori più dance significa andare a tastoni, come quando la vista inizialmente non si è ancora abituata all'oscurità, e per chi ha memoria delle sue precedenti opere la sensazione di un leggero disagio si palesa influenzando l'ascolto, ma sta qui l'ulteriore piacere che regala Immunity nella  sua interezza. Quando Hopkins riabbraccia King Creosote per l'omonima traccia finale non è tanto il sollievo con cui si saluta il produttore inglese consci che non ha voluto distaccarsi poi troppo dal suo passato, ma comprendere la sua bravura nell' assoggettare la dance, l'ambient, e le vaghe influenze Dubstep sotto una sola produzione a se stante, dove non spicca una idea sopra le altre, dove niente viene incompreso ed emarginato. Emerge una sorta di nobiiltà tra i vari beat e campionamenti, una eleganza asettica, forse scritturata a non cambiare niente se non quello che c'è già, che a modesto parere è la sfida più difficile ci sia adesso.

In tutto questo rimane la sensazione di un disco piacevolmente smarrito, che non riesce ancora a riflettere tutto il talento di Jon Hopkins e che condanna il futuro a una trepidazione sempre più palpitante.

Form by Firelight
Immunity

16.1.13

Coexist

Come tentare da piccoli di costruire una casa e ne viene fuori uno sgangherato razzo, disengare una persona che invece risulta essere un albero; hanno provato a intrecciare nelle loro canzoni i battiti elettronici del nuovo millennio, ma il risultato è sorprendentemente sbagliato su tutta la linea. Così sbagliato da' risultare già intiquato; nonostante sia finora l'unica proposta di questo tipo da quando Burial ha iniziato a smaltire la sbronza nei bus notturni il Sabato notte, ma seriamente, per i cultori del genere Coexist non fa nè caldo nè freddo. Io amavo disegnare le persone ma le ritraevo sempre con la forma di un albero spoglio, autunnali, e ho passato mesi pensando che fosse giusto così perchè nessuno osava correggermi, per compassione i disegni venivano accettati dalle suore dell'asilo, poi iniziai a capire che stavo sbagliando e iniziai a sforzarmi nel disegnare le persone in una dimensione piiù consona, senza mai raggiungere il risultato sperato. C'è una sana autenticità nel desiderio goffo di essere e risultare più adulti, forse non esiste altro disco che sappia identificare l'adoloscenza introversa di questo periodo, così come lo era l'esordio, ma senza quel desiderio di essere e stare più in alto. Non c'è nient'altro di infantile in Coexist, magari ci si può immaginare i protagonisti di Misfits che si ritrovano improvvisamente ad essere romantici. Un disco cremoso, capace di liquidare tutto ciò che è stato detto finora se ad ascoltarlo sono persone felicemente innamorate, anzi magari si sono riscoperte innamorate.

29.8.12

Paesaggio mediterraneo, sapore teutonico

Ligh Leak propone agli altri la visione personale associata alla parola "Toskana", espressione tipicamente teutonica. E' divertente mescolarsi nel mondo da lui creato intorno a questa idea, per me non molto attinente, di ambiente Toskano. L'onda Chill ci trasporta verso ambienti assolati, pomeridiani, con la spiaggia quasi deserta, qualche famiglia, piccoli che giocano, inesistenti alla nostra vista, un sole non troppo forte. In verità non ci troviamo neanche in riva, ma più spostati verso l'interno, se ci giriamo intravediamo gli aghi di pino portati dal vento ed appartenenti ad una piena limitrofa. Il senso di appartenenza con questi luoghi per me non esiste, ma è sempre bello illudersi su questa musica.

19.5.12

Realtà mentale: La dolcezza nasconde la dipendenza

E' un dolce tormento per la testa, entra senza chiedere il permesso, si accomoda sul sofa di casa, ti osserva ma con fare disinvolto, non ci fai caso, ma lei è sempre li a fissarti. Un dolce tormento che si insinua nella testa, che si espande come un liquido nelle parti vuote e che cambia forma adattandosi a tutti gli spazi. Non te ne accorgi e sei subito in balia della sua presenza, si permette di accompagnarti dove vuole, senza strattoni e senza spintoni, fai tutto da solo, lei si occupa solo dell'accompagnamento e del catering per la festa sulla terrazza. Finisci anestetizzato in mezzo alla pista da ballo, il suono ti scuote e ti riporta a terra, finisce qui il viaggio solitario di una mente leggera che attraversando strade, palazzi, spiagge, campi fioriti, viene richiamata nel proprio corpo con un tocco forte, ma deciso, di caotica dolcezza. Questa è Cups, la mia Cups. 


7.3.12

It's only springtime

Ci siamo quasi ormai.



Ma dove diavolo eravamo ieri sera?


Fate ascoltare Bradford Cox ai vostri figli.

Anche Tune-Yards magari.

27.2.12

Moon Fever

Chissà quali caratteristiche hanno trovato idonee negli Air, le due fondazioni cinematografiche che si sono incaricate di restaurare il capolavoro del cinema muto Le Voyage Dans la Lune (Viaggio sulla luna) di George Méliès. Il fascino torbido della colonna sonora de Il Giardino delle Vergini Suicide di Sofia Coppola? O il motivo è ricaduto banalmente sul fatto che il disco d'esordio del duo di Versallies si chiama Moon Safari? Due dischi che sono tralaltro l'antitesi dell'altro, sicuramente poco somiglianti.

26.2.12

Long Playing: Put Your Back in 2 it



Questo video è stato vittima della censura di You Tube per "espliciti riferimenti sessuali", così tali da obbligare i gestori del sito ad eliminare la sua promozione e diffusione sul portale video da parte della etichetta Matador, che detiene i diritti di pubblicazione del secondo album di Perfume Genius, alias Mike Hadreas, giovane cantautore omosessuale.
Sì, il mondo del pop (e Youtube stesso) è pieno di riferimenti sessuali veicolati tramite video, tutti messaggi codificabili da un pubblico etero e spesso impregnati di misoginia, sesso facile, e una considerevole voglia di trasgressione a buon mercato, perciò già qui le motivazioni dei gestori del canale video cadono inesorabilmente; ma il punto trova ancora più consistenza nella totale assenza di provocazione che il video offre: E' un videoclip che sa solo evocare tenerezza e ironia tra due uomini che si scambiano gesti d'amore, una intimità orgogliosa e inoffensiva; negare la contrapposizione di questi valori alle immagini è profondamente deplorevole, è limitare l'amore stesso, privare all' amore di due omosessuali il raggiungimento di una piena purezza.

Processo di sottrazione che punta al cuore del contenuto, una scelta che Perfume Genius persegue anche in musica nei suoi esperimenti di sintesi cantautorale. Tentativi di racchiudere l'apice di una intima e fugace emozione ed esserne testimoni fedeli sia nella sostanza che nella forma. Afferrare una melodia, un significato, una struttura musicale che sappia dire qualcosa, e immediatamente cesellarla come canzone senza doverla ricoprire poi di dettagli sonori funzionali alla sua difesa, nude songs.
Il bilico tra perfezione e precocità è fine, forse non c'è ancora la consapevolezza giusta, per adesso solo attimi in cui comprendi che Perfume Genius è tanto vicino a diventare un artista dal futuro luminoso e indispensabile.

Perfume Genius- All Waters by denouementspage

6.2.12

Realtà Mentale: Aria tra i capelli in un tramonto di mezza estate

Stavo viaggiando quella notte su di una strada conosciuta in compagna di quella donna, quella femmina. Era notte, ma questo non importa, nella mia realtà era pomeriggio e sentivo il salmastro che mi solleticava il braccio destro appoggiato sul cofano di una sportiva decappottabile. Il sole si sforzava il giusto per creare solo un leggero tepore sulla pelle, i raggi mi obbligano ad abbassare gli occhiali, che non ho, davanti agli occhi. Un paio da uomo un pò vintage, scelta non in linea con la moda, ma causata da un ritrovamento fortuito all'interno di un vecchio mobile. Il vento porta in aria i capelli, scivola attorno al parabrezza ed il tramonto si fa sempre più vicino. Il sole scende, il cielo si dipinge di sfumature aranciate, c'è sollievo e appagamento; sembra di stare sul divano a fissare la società affannarsi da una parte all'altra del mondo, mentre io rimango immobile sapendo che tutto ciò è superfluo. Mi trovo su quel trono e su quella macchina, nella mia stanza e sulla costa, mi sento appagato, libero dai pensieri; tu esci dolcemente dalla vettura e mi riporti, alla fine, alla realtà terrena. Molti scambierebbero queste sensazioni per tutto, pur di viverle per tutta la vita. Io penso invece che si sbaglino di grosso: sarebbe un'altra vita monotona, come troppo spesso siamo abituati a dire di noi stessi e degli altri. Meglio lasciare che queste sensazioni appaiano e svaniscano periodicamente, l'importante è sapere dove trovarle.

27.1.12

Long Playing: Grab That Gun

Il sound ricorda quello tipico della new-wave anni 80' tra Joy Division, Cure, Television....
Non ho idea di quante volte mi sia imbattuto in quest'ultimi anni in una frase del genere: Tra recensioni più o meno sgonfie d'entusiasmo, il parere a quattr'occhi di persone che con il passare degli anni te lo comunicano, anche loro, in modo progressivamente assente, con la conclusione che pure la tua mente raggiunge la più cieca e intrattabile delle sensazioni, una sottrazione totale di ogni buona volontà.

Parlare di revival wave mi obbliga a dover star lì ad elencare la maggioranza delle nuove proposte musicali perlopiù inespresse nate nella metà dello scorso decennio. Esse rientravano senza pietà in questo pentolone che tutt'oggi ribolle inesorabile, con evoluzioni ben più ampie; vedi le rielaborazioni di nostalgia eighties e citazioni elettro-pop a non finire, senza contare lo sdoganamento della pop culture in musica e della sua immagine post-moderna (la cui nascita e iniziata proprio trent'anni fa) proprio negli ambienti che appunto in antichità (si, sembra sia passato un secolo) si definivano indie, scena che una volta si opponeva con una intollerabilità palpabile in musica agli scenari pop commerciali; ora basta dare un'occhiata a quanta attesa c'è per il primo disco di Lana Del Rey, passata esteticamente dal corteggiamento nerd di Videogames, al codice Gaga-glamour ribelle (e alla firma per la Interscope) di Born to Die, e tanti omaggi e saluti a Manuel Agnelli.

Le ramificazioni ci sono e ci saranno in futuro, ma niente sembra cambiare il concetto di revival, niente ha scombinato realmente il panorama offrendo uno spazio sonoro su cui iniziare un percorso che si scuota dalle varie derivazioni del caso, tant'è che tra i primi gruppi di punta di questa corrente, vedi Strokes e Franz Ferdinand, palesano già evidenti limiti di vitalità e ispirazione.
Evitando altre pericolose analisi superficiali, riesco solo a ricongiungere tutto al concetto di urgenza, ovvero puoi suonare e ispirarti a qualsiasi genere del passato, sperimentare nuove fusioni e ricette sonore tra le più varie e disomogenee, ma se non si avverte una necessità artistica che induca inesorabilmente a queste insondabili sonorità, perchè intestardirsi? Resta dove sei, la storia è lì a disposizione.

La cantante Katie Sketch fonda le canadesi The Organ nel 2001, in seguito al suo tentativo di fondare un gruppo che rievocasse il suono e la sostanza dei suoi dischi preferiti, scoperti grazie a un amico produttore e tecnico del suono. Siouxsie and the Banshee, Ultravox, Roxy Music, e in generale ciò che risultava alternativo ai fasti dei miglior Bon Jovi.
Nel 2001 ottengono un contratto con la Mint Records e in quel lasso di tempo ottennero la possibilità di pubblicare il loro primo cd e magari anticipare il revival-wave di un paio d'anni in barba agli Strokes e Interpol, ma la Sketch si oppone al lavoro svolto con il primo produttore, lo cambia, e ci mette due anni per ottenere il suono desiderato.

Grab That Gun ad oggi non sembra aver avuto tanta premura: è un esordio candidamente di stampo new-wave, dannatamente monocorde e che evita di arrampicarsi in dettagli lontani da questa sua natura. Uscisse domani sarebbe liquidato da una esasperazione palpabile dagli addetti ai lavori, confermando l'errore a ragionare in termini pressochè inutili di questi tempi; perchè negli anni 80' questo disco avrebbe trovato la gloria che gli spetta, non tanto per la fedeltà a quelle sonorità ma per la possibilità che quel periodo avrebbe dato alle capacità innate di questa band.
I riflessi melodici che penetrano in tutte le canzoni del disco sono di una efficacia disarmante, di una semplicità esemplare e induce a una morbosità d'ascolto ripetuto; contraltare splendido per la voce di Katie Sketch che come una gazza ladra si appropria del nucleo vitale della band virandolo ad essere la sagoma della sua disillusione cieca, oppressiva e dispersiva come una metropoli senz'anima. Un canto lontano dagli epigoni (più o meno onesti) di Ian Curtis che hanno proliferato in quest'ultimi anni; lei magari ci prova a rinverdire i fasti di un Morrissey ma risulta sempre una cosa diversa, ritrovandosi in gola un oscuro e fragile orgoglio che la rende la migliore interprete di tutto il revival degli anni zero.
Dopo la ristampa europea del disco nel 2006 e vari cambi di line-up, inizia anche un tour che sottolinea l'incapacità delle ragazze a convivere insieme per un periodo così lungo, le controversie verso l'industria discografica fanno il resto e la band si scioglie nel Dicembre dello stesso anno.
Hanno però ancora la forza di chiudere questa parentesi folgorante con un Ep del 2008 chiamato Thieves che non fa che accumulare il rimpianto dei Fans, tra l'ardore intrinseco di What a Feeling, il baratro melodico di Let the Bells Ring e il commiato affettuoso di Don't Be Angry.

Probabilmente anche loro sarebbero finite in un limbo d'indecisione, ma il loro proseguire si sarebbe rivelata una scelta contraddittoria alla passione emessa nei loro lavori, l'ardore wave che in Canada non ha smesso con la loro dipartita, ma se gli Arcade Fire trovavo una luce in Tunnels, le The Organ, con lo stesso piglio inafferrabile, sembrano sprofondare nell'abbraccio letale di Brother.

17.1.12

2011: Metals

Malcelata luce che sbuca dalle nuvole e filtra in sinuosi raggi tra le tende di una finestra per poi vagare fermamente, in un lato della stanza, a marchiare la figura di una donna intenta a raccogliere frammenti, briciole, foglie d'autunno, impronte, polvere, ricordi e ciò che in modo univoco può ormai definire dolore.

Metals fa sì che risplendano, in un gioco di chiaroscuri, quelle poche canzoni del disco più consone al passato della cantautrice, una contrapposizione difficilmente rintracciabile nei dischi precedenti e nei cavalli di battaglia da spot come My Moon My Man, Mushaboom, I've Feel it All, e 1234. Tutto ciò che poteva sembrare morbosamente limpido e accecante prima, ora vive una dimensione credibile, tanto onesta da consegnarli ascolti e ricordi, mentre il passato ora è alla portata, quella giusta.

La finestra si apre gettando una pioggia di colori antichi, pesanti e rigeneranti.



FeistMusic

11.1.12

Come quella volta che mi portarono in Africa

Ascoltare per la prima volta Andy Stott è come essere rapiti da un auto nera e riaprire gli occhi in mezzo al deserto, non connettere tutto ciò che è accaduto nell'intermezzo tra questi due avvenimenti e rimanere tra lo stupito, lo straniamento e la demoralizzazione. Di punto in bianco vieni catapultato in un ambiente ostile, una giungla africana, un posto dove non ti senti accolto bene, dove la sabbia ti entra nei vestiti, il fango ti sporca la faccia e le liane ti ostacolano il cammino. Prendi confidenza con il luogo: flora e fauna cominciano a mostrarsi per quelle che sono e non per ciò che ti eri immaginato essere. Non c'è niente di buono o cattivo, è solamente il tuo orecchio che connesso al cervello deve continuare ad identificare costantemente i rumori del luogo. Questo per me è stato soltanto il primo approcio con questo artista che, ad oggi, conta solo di vari EP. E' ancora prematuro consigliare tracce da parte mia, non escludo che io o l'altro compare di blog possa in futuro parlarne più approfonditamente.

29.12.11

2011: Smother

Potrebbe, erroneamente, essere considerato il loro disco della maturità se non fosse che i precedenti erano uno sguardo limpido e genuino che risaltava nel mare del recente revival-wave inglese, cosa che Smother consolida completamente buttando su quello sguardo una ombrosità diversa dai bagordi ritmici del passato. I contrasti di colore e le moventi figure presenti nelle radure selvagge e negli scampoli profondi della foresta, si diradano al calar della notte; è il conforto del letargo diventa una irrefrenabile esigenza per le bestie antiche, e con loro tutte le creature che hanno ribollito di piacere con la loro compagnia.
Niente viene lasciato cadere e rotolare nelle piege di un breve ma malinconico passato, i Wild Beasts in silenzio si sono levigati in questi anni una loro personalità in un habitat dove sembra non esserci più vegetazione e rinnovamento, ricerca posta però sull' adempimento delle proprie esigenze e non per risplendere a tutti i costi alla luce di un nuovo mattino.

25.12.11

Natale con Jesu


Staccate la radio, buttate via le canzonette di Natale e provate con questo singolo. Se non altro Jesu c'ha provato l'anno scorso, pubblicando la canzone a Gennaio, ma ci ha provato. Destrutturare il Natale e i suoi stereotipi tanto cari a molte persone e molte economie è come divertirsi a staccare la testa alle bambole: non serve a niente, però ci sentiamo in grado di pensare a qualcosa di diverso nonostante tutte le seghe, mentali e non, che ci spalmano addosso con tanta cura.

2.11.11

Long Playing - A Creature, I Don't Know


Bene, qui non si tratta di elogiare uno dei talenti più enormi e non ancora espressi del tutto del panorama folk inglese e in generale di tutta la musica Uk, bensì ridare fiato alla crescita artistica, avere quella quieta pazienza verso chi non ha ancora raggiunto la piena consapevolezza dei propri mezzi e prova ad arrivarci inanellando dischi come se fossero mattoni, scalini.
Sostanzialmente ascoltare Laura Marling non equivale ad avere tra le orecchie l'ultimo nome di grido iperpromosso da ogni web-zine del globo (quelli che poi dimenticheranno quel nome entro 3-4 anni), ma assistere a questa costruzione di donna adulta con in mano una chitarra, iniziare ad osservarla con sguardo e devozione paterna.

A Creature, I Don't Know è la terza tappa di questa ragazza inglese proveniente dalla marittima e meridionale Hampshire, tappa che riserva una altitudine da grande cantautrice folk, dove conferma il cambio di rotta del precedente I Speak Beacuse I Can ai danni del puro folk-pop del disco d'esordio Alas, I Cannot Swim; tutti titoli molto emblematici, non so quanto volutamente, ma ad ognuno di questi corrisponde una verità.

Una creatura che conosce solo la sua incomprensibilità: bianca e impalpabile in I Was Just a Card, fragile e pallida in Rest in the Bed e Night After Night. Don't Ask me Why, niente risposte che sfociano tutte d'un fiato nell' implosione irrascibile e sporca di The Beast.
Tutto il disco, tranne l'irresistibile dialogo jazzato di The Muse, vive di una sorta di stabile emicrania, di contemplazione per ciò che inadeguatamente ci si ritrova ad essere davanti ai familiari, al proprio compagno e al proprio specchio, una assenza d'identità lontana da quelle donne che si trova a fissare con devozione (Salinas).
Dopo le dolci e innevate solitudini di I Speak Because I Can, la Marling trova il coraggio di mettere a nudo ogni pensiero che la corrode, fino a disfarsene sul calare di Sophia, nome dato a una ipotetica controfigura femminile dai caratteri cristiani ispirata da una novella di Robertson Davies, nome che riecheggia anche in The Beast, tutti e due i brani più ambiziosi del disco.
A spiccare c'è inoltre una particolare cura per gli arrangiamenti, dove banjo, violini, chitarra, e batteria spiccano senza mai scavalcare le intenzioni dei singoli brani.

L'arte della Marling per adesso ha il retrogusto acerbo della sua età (22 anni), funzionale però ad essere il contraltare sonoro delle autunnali giornate di una Rory Gilmore, di una qualsiasi coetanea che si sfida ogni giorno ad essere veramente una donna senza cedere alle moderne e maschiliste trappole che rendono quel ruolo una pura e calcolata artificialità. I dischi della Marling come unità di misura intima ed invisibile per misurare lo spazio degno di ogni personale mattone, per ogni scalino; ed infine arrivare a quel momento fatidico dove l'ormai donna osserverà, sempre insieme a quei dischi, le scelte fatte in questo attuale presente dove domina una fiera e pura incompletezza.
Uno dei tesori nasccosti più luminosi della musica inglese, se casomai non si fosse ancora capito.



Sito Ufficiale
Laura Marling Fan Site

16.10.11

Summer Mix 2011

Con diverse cose che magari...chissà, riprenderò in mano verso fine anno, e altre cose, più radiofoniche, escluse, senza scherzi ma la stagione radiofonica estiva di quest'anno è stata degna, quasi miracolosa tra Fitz & the Tantrums, Foster the People e Aloe Blacc che però ci sta tormentando da inizio anno, e non accenna a crollare.

Comunque, se avete voglia, buon ascolto.

11.10.11

Canzone della settimana - Four Walls

Massive Attack Vs Burial.
Questi due nomi dicono già tutto anche in termini sonori: Non si smentisce niente, il maestro e l'allievo, non c'è davvero niente da dire...anzi no! Hope Sandoval.



La voce della Sandoval è l'unico salvagente in questa perdizione grigia e nebbiosa, su cui si riflettono frammenti esoterici, echi trascendentali e una inafferrabilità eterna, mentre le delimitazioni accennate nel titolo provocano solo lunghi brividi.

Four Walls/Paradise Circus è un 12 giri, esaurito e distribuito dalla Inhale Gold e la Vinyl Factory, contenente due remix realizzati da Burial per due brani dei Massive Attack, di cui il leader, Robert Del Naja ha curato pure la copertina. Four Walls è una traccia inedita e mai pubblicata dal gruppo di Bristol, quindi oggettivamente parliamo di una versione differente dall' originale, in altri termini, più o meno temporanei, si parla di un vero inedito dove l'enfaint prodige della Dubstep inizia a dialogare con i fratelli maggiori, una occasione da tramandare e ricordare, che si replicherà a breve quando sarà ormai nota la seconda traccia, la ben conosciuta Paradise Circus. Niente paura, Hope Sandoval sarà ancora lì a tendervi una mano.

Massive Attack blog
Dettagli

Losing Today



Un campionario lucido dei peggior vizi indie-stream di quest'ultimo decennio, una occasione per prendere atto di ciò che davvero non è più sopportabile, annotarlo e proseguire dritto con maggior consapevolezza e decisione.
Per chi invece non sa nemmeno dire se ci siano dei riferimenti basilari in molta musica indipendente odierma, o non sa se M83 prima era alfiere di una rinascita Shoegaze sopra il lungo tappeto dell'elettronica, qua può trovare uno dei dischi più importanti dell'anno.

Hurry Up, We're Dreaming
Soundcloud parte: 1 e 2