Il sound ricorda quello tipico della new-wave anni 80' tra Joy Division, Cure, Television....
Non ho idea di quante volte mi sia imbattuto in quest'ultimi anni in una frase del genere: Tra recensioni più o meno sgonfie d'entusiasmo, il parere a quattr'occhi di persone che con il passare degli anni te lo comunicano, anche loro, in modo progressivamente assente, con la conclusione che pure la tua mente raggiunge la più cieca e intrattabile delle sensazioni, una sottrazione totale di ogni buona volontà.
Parlare di revival wave mi obbliga a dover star lì ad elencare la maggioranza delle nuove proposte musicali perlopiù inespresse nate nella metà dello scorso decennio. Esse rientravano senza pietà in questo pentolone che tutt'oggi ribolle inesorabile, con evoluzioni ben più ampie; vedi le rielaborazioni di nostalgia eighties e citazioni elettro-pop a non finire, senza contare lo sdoganamento della pop culture in musica e della sua immagine post-moderna (la cui nascita e iniziata proprio trent'anni fa) proprio negli ambienti che appunto in antichità (si, sembra sia passato un secolo) si definivano indie, scena che una volta si opponeva con una intollerabilità palpabile in musica agli scenari pop commerciali; ora basta dare un'occhiata a quanta attesa c'è per il primo disco di Lana Del Rey, passata esteticamente dal corteggiamento nerd di Videogames, al codice Gaga-glamour ribelle (e alla firma per la Interscope) di Born to Die, e tanti omaggi e saluti a Manuel Agnelli.
Le ramificazioni ci sono e ci saranno in futuro, ma niente sembra cambiare il concetto di revival, niente ha scombinato realmente il panorama offrendo uno spazio sonoro su cui iniziare un percorso che si scuota dalle varie derivazioni del caso, tant'è che tra i primi gruppi di punta di questa corrente, vedi Strokes e Franz Ferdinand, palesano già evidenti limiti di vitalità e ispirazione.
Evitando altre pericolose analisi superficiali, riesco solo a ricongiungere tutto al concetto di urgenza, ovvero puoi suonare e ispirarti a qualsiasi genere del passato, sperimentare nuove fusioni e ricette sonore tra le più varie e disomogenee, ma se non si avverte una necessità artistica che induca inesorabilmente a queste insondabili sonorità, perchè intestardirsi? Resta dove sei, la storia è lì a disposizione.
La cantante Katie Sketch fonda le canadesi The Organ nel 2001, in seguito al suo tentativo di fondare un gruppo che rievocasse il suono e la sostanza dei suoi dischi preferiti, scoperti grazie a un amico produttore e tecnico del suono. Siouxsie and the Banshee, Ultravox, Roxy Music, e in generale ciò che risultava alternativo ai fasti dei miglior Bon Jovi.
Nel 2001 ottengono un contratto con la Mint Records e in quel lasso di tempo ottennero la possibilità di pubblicare il loro primo cd e magari anticipare il revival-wave di un paio d'anni in barba agli Strokes e Interpol, ma la Sketch si oppone al lavoro svolto con il primo produttore, lo cambia, e ci mette due anni per ottenere il suono desiderato.
Grab That Gun ad oggi non sembra aver avuto tanta premura: è un esordio candidamente di stampo new-wave, dannatamente monocorde e che evita di arrampicarsi in dettagli lontani da questa sua natura. Uscisse domani sarebbe liquidato da una esasperazione palpabile dagli addetti ai lavori, confermando l'errore a ragionare in termini pressochè inutili di questi tempi; perchè negli anni 80' questo disco avrebbe trovato la gloria che gli spetta, non tanto per la fedeltà a quelle sonorità ma per la possibilità che quel periodo avrebbe dato alle capacità innate di questa band.
I riflessi melodici che penetrano in tutte le canzoni del disco sono di una efficacia disarmante, di una semplicità esemplare e induce a una morbosità d'ascolto ripetuto; contraltare splendido per la voce di Katie Sketch che come una gazza ladra si appropria del nucleo vitale della band virandolo ad essere la sagoma della sua disillusione cieca, oppressiva e dispersiva come una metropoli senz'anima. Un canto lontano dagli epigoni (più o meno onesti) di Ian Curtis che hanno proliferato in quest'ultimi anni; lei magari ci prova a rinverdire i fasti di un Morrissey ma risulta sempre una cosa diversa, ritrovandosi in gola un oscuro e fragile orgoglio che la rende la migliore interprete di tutto il revival degli anni zero.
Dopo la ristampa europea del disco nel 2006 e vari cambi di line-up, inizia anche un tour che sottolinea l'incapacità delle ragazze a convivere insieme per un periodo così lungo, le controversie verso l'industria discografica fanno il resto e la band si scioglie nel Dicembre dello stesso anno.
Hanno però ancora la forza di chiudere questa parentesi folgorante con un Ep del 2008 chiamato Thieves che non fa che accumulare il rimpianto dei Fans, tra l'ardore intrinseco di What a Feeling, il baratro melodico di Let the Bells Ring e il commiato affettuoso di Don't Be Angry.
Probabilmente anche loro sarebbero finite in un limbo d'indecisione, ma il loro proseguire si sarebbe rivelata una scelta contraddittoria alla passione emessa nei loro lavori, l'ardore wave che in Canada non ha smesso con la loro dipartita, ma se gli Arcade Fire trovavo una luce in Tunnels, le The Organ, con lo stesso piglio inafferrabile, sembrano sprofondare nell'abbraccio letale di Brother.
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