6.6.11

Long Playing - Walk The River


Questa non è proprio una copertina da disco pop, solo Deserter's Songs dei Mercury Rev ne vantava una simile, e aldilà dei dati anagrafici e dei percorsi musicali che differenziano le due band, i Guillemots dimostrano di saper rischiare presentando il loro nuovo disco in questo modo, facendo trasparire un coraggio che però loro malgrado si sta puntualmente circondando della stessa oscurità che non permette di riconoscere quella sagoma in lontananza.

Ormai senza più un tetto sopra il cuore, la preda prosegue la scia del fiume nell' oblio offerto dalla notte. La spensieratezza del passato è un ricordo soffocato. Si muove compatto, tra la neve e il respiro gelido in cerca di una interiorità forte, ma l'inquietudine dell' abbandono rende indeciso ogni gesto, ogni intuito, ogni speranza. Una indolenza che porta a decisioni apparentemente rassicuranti, che si riveleranno deboli di fronte alle intemperie e all'impazienza che tutto finisca per il meglio.
Arriva così a illudersi da solo. In un momento si rispecchia in una luce effimera e passeggera, e con essa si dissolve nell'apice più doloroso e atroce, un crocevia di straziante ingenuità che sembra non finire mai, la compassione per la propria esistenza fatta ormai di fallimenti e di una propria anima romantica insopportabile, priva di accettazione alcuna.

Non so se era veramente nelle intenzioni di Fyfe Dangerfield fare un disco così dettagliatamente sincero nel mostrare la fine di un rapporto (celebrato nel suo disco solista dello scorso anno).
Probabilmente per lui non ci sono canzoni ingenue a metà del disco, che sembrano mostrare precisamente tutte le tappe che ogni innamorato perso e danneggiato deve fare per forza di cose. Penserà che sia un disco adatto a subire il resto del mondo che s'aspetta il classico terzo album, quello della consacrazione, della perfezione che inquadra al meglio lo stile dell'artista.
Di sicuro questo Walk the River è il disco dove imprime di più le sue esigenze supportate dalla clemenza dei suoi compagni di viaggio convinti, forse per sempre, a riporre i suoni del Brasile e le goffe sperimentazioni elettro-pop.
Di sicuro c'è il primo singolo, The Basket, il risveglio dopo l'emicrania, dal torpore autolesionistico. La consapevolezza che ormai si può solo risalire porta già a gustare la freschezza, a riprendere la lotta e i faccia a faccia pur barcollando per la sbornia e con i cerotti sparsi in viso. C'è una ritrovata lucidità che non viene più soppressa dai perchè, libero così d'incassare a malincuore i motivi per cui si era caduti inesorabilmente in una sordità diabolica.

If only we believed in someone. - La consapevolezza che sa di rimpianto, e che indica l'alba - Yesterday is Dead.

I Guillemots si affacciano così a loro modo, ovvero con idee e ambizioni complesse, nell' essenzialità, nella compattezza tradizionale tra melodia e ritmo (Magrao ha definitivamente imparato a suonare la chitarra), con strofe e ritornelli che si susseguono a volte troppo regolarmente e con troppa insistenza.
Non riescono ancora stare al mondo i Guillemots, il talento continua a subire progettazioni di fondo troppo ambiziose, con troppa indulgenza che costringe una canzone come I Don't Feel Amazing Now a essere perfetta solo per questo disco, l'ennesimo disco Pop che confonde le idee su chi è portatore d'infelicità e chi no, tutto per una band pronta a scomparire senza provocare alcun rumore.

Maybe I'll try to forget you, Though you hold a blade in my heart.



Walk the River
Vermillion
I Don't Feel Amazing Now
Ice Room
Tigers
Inside
I Must Be A Lover
Slow Train
Sometimes I Remember Wrong
The Basket
Dancing In The Devil Shoes
Yesterday Is Dead

Testi

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